La Storia

Villa Ruiz: Una Casa Siciliana

La casa dei Marchesi

La storia dell’ ottocentesca Villa Ruiz è legata a una delle grandi famiglie nobiliari della città di Noto, i Di Lorenzo, marchesi del Castelluccio. Il grande palazzo neoclassico in centro era la loro residenza abituale, la casa in campagna a San Corrado era invece la dimora estiva, piena di verde, ombra e sollievo dalla calura.

Divenne Ruiz per un dono alla famiglia amica che ne amministrava il patrimonio. Come tante eredità feudali, anche quella di Villa Ruiz è stata a lungo dispersa, non reclamata, in attesa di redenzione e minacciata dalla speculazione.

La casa sulla roccia dell’altopiano ibleo era stata quasi dimenticata: era disabitata da quattro decenni quando, dieci anni fa, un produttore televisivo straniero, creatore di documentari e innamorato della Sicilia, l’ha rilevata dall’ultima erede della famiglia Ruiz.

Poco dopo, lo stesso acquirente sarebbe diventato proprietario anche del Palazzo Di Lorenzo del Castelluccio, ricostruendo il filo originario tra le due dimore. Il Palazzo oggi è stato ceduto, mentre la casa di campagna che ha conservato la discrezione del suo status di dimora privata, nascosta dall’elevazione e dalla vegetazione da quest’anno è stata aperta al pubblico. 

 

Restauro: un atto d'amore

La ristrutturazione di Villa Ruiz nel 2011 è stata quasi filologica, un atto d’amore e rispetto per quest’angolo di Sicilia, affidata  a un esperto architetto di Noto, Corrado
Papa e alle maestranze locali. La geometria dell’edificio è semplice, essenziale, come spesso sono le ville della campagna siciliana.

La struttura ottocentesca, con il grande matroneo centrale scandito dai pilastri, è stata conservata nelle sue precise simmetrie: quattro camere al piano terra, quattro al primo.

La divisione originaria degli ambienti è stata solo scrostata dalle incombenze novecentesche: al piano terra, dove oggi c’è la grande sala da pranzo, il nuovo proprietario aveva addirittura trovato un garage per le automobili, ricavato lì negli anni ’50.

Forse serviva uno sguardo venuto da fuori per restituire a Villa Ruiz tutta la sua sicilianità: il pavimento è stato restaurato usando quel calcare tenero impregnato di bitume che a Ragusa chiamano pietra pece, una tradizione che nella regione è addirittura pre-ellenica. Le ceramiche invece vengono da Caltagirone e da Santo Stefano di Camastra.

Camera d'eco...

L’antica cucina è diventata una grande sala da bagno, lasciando intatta la cisterna che serviva per prelevare l’acqua da scaldare sui focolari. L’idea di fondo però non era fare della villa un’icona statica, ferma in un tempo andato, ma restituirle la vitalità della Sicilia prima del Risorgimento, inquieta, discreta ed edonista.

Al suo interno oggi Villa Ruiz è come una camera d’eco culturale. Il primo riferimento, scontato ma necessario, è il Gattopardo, l’elegia di tutta la nobiltà feudale siciliana.

Ma gli echi della casa vanno oltre Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti, con profonda consapevolezza di cosa è stata ed è davvero la Sicilia, culla e deposito di un patrimonio culturale che appartiene all’Europa intera.

Sia l’arte che l’arredamento di Villa Ruiz sono concepiti con questa ispirazione: un viaggio nel tempo e nello spazio. Alle pareti ci sono quindici dipinti di vulcani, quelli eoliani, l’Etna, anche il Vesuvio. Non è solo un omaggio alla geologia dell’isola e del Sud Italia, ma un richiamo al Grand Tour dei ricchi e degli aristocratici europei del XVIII secolo, di cui la Sicilia era l’appendice ultima e la destinazione più idealizzata.

Molti dei quadri di Villa Ruiz sono stati realizzati da artisti in viaggio per l’Italia Meridionale, inglesi e francesi affascinati dai vulcani e dalle occasionali eruzioni, poi recuperati con l’attitudine del collezionista in missione da mercanti e case d’asta di tutto il continente allo scopo di riportarli in Sicilia.

Armonia ed eclettismo

Anche i mobili vengono da mezza Europa. Ci sono ovviamente autentici pezzi di Barocco siciliano, come le due console con specchio, che appartengono alla storia della casa e sono state donate dall’ultima proprietaria come buon auspicio. Gli altri sono stati comprati dagli antiquari di Catania e Palermo, poco prima che scoppiasse la moda e il mercato impazzisse. Lo spirito di questo luogo però è sempre un dialogo e allora i mobili siciliani condividono lo spazio con tavoli, sedie, scrittoi e armadi appartenuti a case britanniche, francesi, portoghesi, russe, olandesi di epoche diverse tra loro.

Anche in questo eclettismo c’è un significato filologico: l’estetica siciliana è tutto meno che omogenea, qui sono passati e hanno prosperato Greci, Arabi, Normanni, Francesi, Borboni. L’armonia in una casa siciliana autentica è sempre nella varietà degli stili, non nella loro omogeneità. Alcuni dettagli, come la piscina creata sul terrazzamento nella vecchia aia o la piccola e sfarzosa cappella con reliquiario, non appartenevano all’identità originaria, ma probabilmente sarebbero stati apprezzati dai marchesi del Castelluccio o dai Ruiz. Il resto del lavoro di bellezza lo fa la natura del luogo: i grandi ficus all’ingresso, e poi gli olivi, le bougainvillee, le palme, i carrubi, i rosmarini, i gelsomini, il giardino con i cactus presi in tutta l’area mediterranea.

Una nonna siciliana

Recuperare l’essenza di Villa Ruiz è stato un lavoro di ricerca, ma anche di immaginazione. «Ho sempre avuto in mente lo spirito della casa, il fantasma di una nonna siciliana», confida il nuovo proprietario.

«Il mio desiderio era accontentare innanzitutto lei». 

Restauro: Un atto d'amore

La ristrutturazione di Villa Ruiz nel 2011 è stata quasi filologica, un atto d’amore e rispetto per quest’angolo di Sicilia, affidata  a un esperto architetto di Noto, Corrado Papa e alle maestranze locali. La geometria dell’edificio è semplice, essenziale, come spesso sono le ville della campagna siciliana.

La struttura ottocentesca, con il grande matroneo centrale scandito dai pilastri, è stata conservata nelle sue precise simmetrie: quattro camere al piano terra, quattro al primo.

La divisione originaria degli ambienti è stata solo scrostata dalle incombenze novecentesche: al piano terra, dove oggi c’è la grande sala da pranzo, il nuovo proprietario aveva addirittura trovato un garage per le automobili, ricavato lì negli anni ’50.

Forse serviva uno sguardo venuto da fuori per restituire a Villa Ruiz tutta la sua sicilianità: il pavimento è stato restaurato usando quel calcare tenero impregnato di bitume che a Ragusa chiamano pietra pece, una tradizione che nella regione è addirittura pre-ellenica. Le ceramiche invece vengono da Caltagirone e da Santo Stefano di Camastra.

Camera d'eco...

L’antica cucina è diventata una grande sala da bagno, lasciando intatta la cisterna che serviva per prelevare l’acqua da scaldare sui focolari. L’idea di fondo però non era fare della villa un’icona statica, ferma in un tempo andato, ma restituirle la vitalità della Sicilia prima del Risorgimento, inquieta, discreta ed edonista. Al suo interno oggi Villa Ruiz è come una camera d’eco culturale. Il primo riferimento, scontato ma necessario, è il Gattopardo, l’elegia di tutta la nobiltà feudale siciliana. Ma gli echi della casa vanno oltre Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti, con profonda consapevolezza di cosa è stata ed è davvero la Sicilia, culla e deposito di un patrimonio culturale che appartiene all’Europa intera. Sia l’arte che l’arredamento di Villa Ruiz sono concepiti con questa ispirazione: un viaggio nel tempo e nello spazio. Alle pareti ci sono quindici dipinti di vulcani, quelli eoliani, l’Etna, anche il Vesuvio. Non è solo un omaggio alla geologia dell’isola e del Sud Italia, ma un richiamo al Grand Tour dei ricchi e degli aristocratici europei del XVIII secolo, di cui la Sicilia era l’appendice ultima e la destinazione più idealizzata. Molti dei quadri di Villa Ruiz sono stati realizzati da artisti in viaggio per l’Italia Meridionale, inglesi e francesi affascinati dai vulcani e dalle occasionali eruzioni, poi recuperati con l’attitudine del collezionista in missione da mercanti e case d’asta di tutto il continente allo scopo di riportarli in Sicilia.

Armonia ed eclettismo

Anche i mobili vengono da mezza Europa. Ci sono ovviamente autentici pezzi di Barocco siciliano, come le due console con specchio, che appartengono alla storia della casa e sono state donate dall’ultima proprietaria come buon auspicio. Gli altri sono stati comprati dagli antiquari di Catania e Palermo, poco prima che scoppiasse la moda e il mercato impazzisse. Lo spirito di questo luogo però è sempre un dialogo e allora i mobili siciliani condividono lo spazio con tavoli, sedie, scrittoi e armadi appartenuti a case britanniche, francesi, portoghesi, russe, olandesi di epoche diverse tra loro.

Anche in questo eclettismo c’è un significato filologico: l’estetica siciliana è tutto meno che omogenea, qui sono passati e hanno prosperato Greci, Arabi, Normanni, Francesi, Borboni. L’armonia in una casa siciliana autentica è sempre nella varietà degli stili, non nella loro omogeneità. Alcuni dettagli, come la piscina creata sul terrazzamento nella vecchia aia o la piccola e sfarzosa cappella con reliquiario, non appartenevano all’identità originaria, ma probabilmente sarebbero stati apprezzati dai marchesi del Castelluccio o dai Ruiz. Il resto del lavoro di bellezza lo fa la natura del luogo: i grandi ficus all’ingresso, e poi gli olivi, le bougainvillee, le palme, i carrubi, i rosmarini, i gelsomini, il giardino con i cactus presi in tutta l’area mediterranea.

Una nonna siciliana...

Recuperare l’essenza di Villa Ruiz è stato un lavoro di ricerca, ma anche di immaginazione. «Ho sempre avuto in mente lo spirito della casa, il fantasma di una nonna siciliana», confida il nuovo proprietario.

«Il mio desiderio era accontentare innanzitutto lei». 

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